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Immagine del redattoreAlessandro Catania

La tremenda folgore di Zeus.

Quando alcuni filosofi greci cominciarono a spiegare i fenomeni meteorologici in termini naturalistici e non divini.



Per millenni gli uomini hanno creduto ai numi immortali. Ogni epoca e ogni luogo geografico ha partorito idee simili che hanno costituito il fondamento del pensiero e della cultura. Gli dei hanno creato il mondo e ciò che è posto nel cielo, la loro casa, e a loro si devono i fenomeni atmosferici. Così era anche nella tradizione culturale degli antichi Greci: il mare in tempesta era la manifestazione dell'ira di Poseidone; la furia dei fulmini che si scatenano sulla terra la conseguenza della terribile collera di Zeus.

Poi qualcosa cominciò a cambiare. Siamo nel VI secolo a.e.v (ante eram vulgarem) a Mileto, città della Ionia; un filosofo di nome #Anassimandro, di cui conosciamo pochissimo grazie a ciò che altri hanno detto di lui in epoche successive, cominciò a guardare il mondo con occhi diversi e ad interpretare ciò che vedeva come manifestazioni del mondo naturale che nulla avevano a che fare con il divino. #Anassimandro, allievo di #Talete, riteneva che i fulmini sono una conseguenza del moto delle nubi agitate dal vento, il quale è una massa d'aria che contiene parti secche o umide spinte dall'azione del sole. Niente Zeus dunque, solo un fenomeno del mondo che può essere spiegato e compreso a partire dalle cose del mondo.

In un'epoca in cui i fenomeni naturali sono sempre stati spiegati in termini mitologici o religiosi, #Anassimandro introduce una rivoluzione del pensiero che modifica radicalmente il modo di approcciarsi alla comprensione della natura, vicina per metodo a quella della scienza moderna.


"Anassimandro introdusse una nuova metodologia di indagine dei fenomeni naturali che stiamo sviluppando ancora oggi."

In realtà, il filosofo milese ha di fatto introdotto il concetto di indagine della natura: se i fenomeni della natura sono riconducibili a delle cause e tali cause possono essere comprese dall'uomo grazie all'attenta osservazione e all'uso della ragione, allora la natura diventa comprensibile senza attribuirne le cause ad enti sovrannaturali. In fondo, se è il possente Zeus a lanciare i fulmini, che motivo ho di chiedermi qual è il fenomeno naturale che li crea? La riposta è che non c'è nessuna causa naturale: tutto è in mano agli dei e i mortali non possono comprendere alcunché. Ma a Mileto era stata tracciata una nuova strada e altri l'avrebbero seguita.


Circa due secoli più tardi, il filosofo Epicuro cercherà, più o meno correttamente, di spiegare molti dei fenomeni naturali e meteorologici in chiave naturalistica. Nel meraviglioso poema De Rerum Natura del poeta latino #Lucrezio, in cui vengono illustrati i fondamenti della filosofia naturale epicurea, alcuni versi del sesto libro sono dedicati proprio alla spiegazione di quei fenomeni naturali che l'uomo, non conoscendone la causa, ha tradizionalmente attribuito al volere divino. #Lucrezio scrive che i fulmini nascono dalle nubi spesse che si ammassano durante i temporali per via dello scontro tra masse d'aria fredda e masse d'aria calda. I venti fanno roteare le particelle di fuoco che si trovano all'interno delle nubi scure, fino a far prendere loro la forma del fulmine che si scarica a terra. Per quanto la spiegazione sia corretta soltanto in parte, il sesto libro del De Rerum Natura mostra in che modo si possa tentare di fornire una spiegazione dei fenomeni naturali a partire dall'osservazione della natura stessa. Si osserva facilmente, ad esempio, che i fenomeni temporaleschi si creano soltanto in quei periodi dell'anno in cui maggiore è lo scontro tra aria calda e aria fredda:


In questi momenti dell'anno, infatti, si presenta quel misto di caldo e freddo

di cui la nube ha bisogno per fabbricare saette,

provocare la lotta dei due elementi e, nella terribile mischia

di fuochi e di venti, far sollevare i colpi dell'aria infuriata.


[De Rerum Natura, Lucrezio, libro sesto, vv 364-367]


Poiché anche gli uomini sono in grado di attribuire le giuste cause ai fenomeni naturali, non è più possibile credere che essi siano una diretta conseguenza del volere divino; non è più possibile aver timore dell'ira degli dei che fanno uso di tali fenomeni come mezzo per punire i mortali. Continua #Lucrezio, con pungente ironia:


Ma sei Giove davvero (e con lui gli altri numi) a scuotere

con terribile schianto le fulgenti dimore del cielo

e a scagliare saette ovunque gli piaccia,

perché non fa sì che chi si macchiò d'un delitto esecrando,

colpito, esali dal petto trafitto

le fiamme del fulmine - ben duro esempio ai mortali -

ed avvolgere invece nel fuoco, dalle fiamme ghermito,

chi, innocente, ha sicura coscienza

di non aver mai compiuto nulla di turpe?

Perché colpiscono anche, Giove e gli dei, i luoghi deserti con inutile sforzo?

Esercitano forse le braccia e rassodano i muscoli?

Perché permettono che il dardo del padre si spunti sul suolo?

E, lui stesso, perché lo consente anziché rivolgerlo contro i nemici?

E perché mai, quando il cielo è completamente sereno,

lui, Giove, non scaglia folgori e non rovescia il rombo dei tuoni?

Forse che appena le nubi gli si sono, ad esse discende

onde dirigere, di lì e da vicino, i terribili colpi?

E a che scopo saetta sul mare? Che ha da rimproverare alle onde,

alla liquida massa marina e alle vaste pianure ondeggianti?


[De Rerum Natura, Lucrezio, libro sesto, vv 396-405]


E così ancora con altre riflessioni simili che mostrano tutta l'assurdità dell'attribuzione della comparsa dei fulmini in cielo al volere dei numi celesti. Siamo ormai molto distanti dell'intervento divino nelle battaglie presso le porte Scee del poema omerico o alla Togonia di Esiodo; questi pensatori, assieme a coloro che hanno inteso la loro dottrina, hanno rovesciato il paradigma.


Anassimandro prima e altri in seguito hanno contribuito alla nascita di un apporccio che oggi è riscontrabile nel metodo scientifico moderno, fondato sulla ricerca delle cause dei fenomeni naturali osservati entro i confini della natura stessa. Non si può dire che il metodo degli antichi filosofi sia paragonabile a quello degli scienziati attuali (allora mancava infatti una descrizione matematica della realtà e il principio della verifica sperimentale introdotto da #Galileo) ma nella Grecia antica si sono gettate le basi, spesso non seguite ed osteggiate, del pensiero scientifico moderno, che ha scalzato le antiche credenze che, come ci insegna #Lucrezio, non hanno più motivo di esistere.



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